Rassegna Stampa – Lunedì 22 Marzo 2021

LA CONCRETEZZA DEL BUDDHA: “PRENDERSI CURA DELL’ALTRO”

Un convegno organizzato dell’Unione Buddhista Italiana sul tema della ripartenza e della rete sociale. Stefano Bettera: “Il nostro imperativo etico è aprirsi alle comunità”. L’impegno a sostegno dei più fragili, le iniziative con i fondi dell’8×1000 e la voglia di fratellanza.

di Paolo di Stefano, tratto dal Corriere della Sera

(Qui) il link dell’articolo.

Dice che quando, più di trent’anni fa, si è avvicinato al buddhismo, lo ha fatto «con gli occhi del bambino curioso». Anzi, lo scrive. E lo scrive in un libro intitolato «I l Buddha era una persona concreta». Stefano Bettera ha scoperto un mondo che non ha più lasciato. L’importante è non perdere quella curiosità di allora, verso sé stessi e verso gli altri. E ora in un nuovo libro, «L’abbraccio del mondo» (in maggio negli Oscar Mondadori), spiega certi concetti chiave. Il primo è la «mente ecologica», cioè il rapporto tra la nostra idea del mondo e il futuro della società, tra la nostra capacità di leggere il presente e la possibilità «concreta» di un cambiamento collettivo. Bisogna passare attraverso parole che possono suonare un po’ desuete come «ascolto», «gentilezza», «cura» e «compassione», a forte rischio di condanna dentro l’infamante categoria del buonismo. 

Non solo meditazione 

È con questa consapevolezza (anche «consapevolezza» è una parola chiave) che si terrà il 20 marzo, in streaming nei canali social dell’Unione Buddhista Italiana (UBI, del cui direttivo Bettera fa parte), un incontro a molte voci intitolato Ricostruire (sottotitolo: La rete sociale in risposta alla crisi). Tenendo sempre presente che Buddha era una persona concreta, Bettera spiega che cos’è l’impegno al di là dei cliché “occidentali”: «Il buddhismo non va ridotto a filosofia del benessere o soltanto a pratica di meditazione, ma comprende una varietà di elementi antichi e profondi, l’equivoco è che si tratti di un percorso individuale, una fuga spirituale senza rapporti con la società». Invece? «Invece è l’opposto: significa farsi carico della fragilità e della sofferenza chiedendosi che cosa si può fare per un cambiamento reale, per questo i buddhisti sono impegnati negli ospedali, nelle carceri, nei luoghi del disagio, della sofferenza e della povertà. Povertà non solo economica ma anche culturale». Dunque, ricostruire, specie in una fase critica come quella che stiamo vivendo. Bettera parla di attivismo, di una volontà di rigenerazione fondata su tre pilastri: «Uno dei principi fondamentali è la compassione, la cura delle cose e delle persone, una cura che deve entrare in collegamento con gli altri: e questa interdipendenza non lascia nessuna alternativa che agire, dunque l’imperativo etico è aprirsi alla comunità». 

C’è chi ha scritto che il buddhismo si presta alla mescolanza e alla costruzione. Forse per questo Bettera dice che «siamo tutti fratelli di papa Francesco, la cui parola risuona molto tra i buddhisti: ecco l’abbraccio al mondo. Fratellanza? Chiamiamola fratellanza, purché si traduca in un atto politico: «La scelta politica del bene comune, perché il buddhista è in primo luogo cittadino della polis». Possiamo chiamarla anche solidarietà? «Bisogna superare il concetto di solidarietà e di sussidiarietà e puntare sul riscatto e sulla testimonianza», dice Bettera, «non fermarsi a riconoscere la sofferenza con il gesto dell’aiuto e della carità, ma offrire ulteriori elementi per riconquistare il valore e la dignità». 

Micro e macro 

Non solo dunque aiuti economici, che possono arrivare grazie all’8 per mille (tra 200 e 250mila contribuenti scelgono l’Ubi), e ben lungi dall’obiettivo di convertire o di fare proselitismo, perché «il buddhismo non converte ma trasforma». Può sembrare un paradosso, ma non lo è: «Noi operiamo con il Terzo settore, con gli enti locali, con le fondazioni bancarie, ma organizziamo anche laboratori di sostegno psicologico, focus sulla risoluzione dei conflitti e su un modo diverso di stare insieme». Accanto al micro, il macro. Da una parte la cura di piccoli ecosistemi, per esempio sostenendo un progetto romano di apicoltura o un’iniziativa di difesa della fauna ittica; il lavoro nelle periferie disagiate come nel quartiere torinese di San Salvario, l’attività per combattere la dispersione educativa. Dall’altra parte, più in grande, l’idea che operando in rete sia più facile elaborare un pensiero sociale, politico, ovviamente non ideologico.