DALL’EMERGENZA ALLA CURA

Rendere concreto il valore buddhista della compassione significa anche aiutare rifugiati e profughi. Fianco a fianco a chi opera sul campo, come Medici Senza Frontiere e sostenendo i Corridoi Umanitari.

Di Stefano Bettera

Per i buddhisti cura e compassione non sono solo un valore o un’intenzione. Fanno piuttosto rima con concretezza e con l’agire. Là dove occorre, quando occorre e come occorre. Agire in rete è un fatto naturale per chi pratica e l’interdipendenza si traduce in incontri capaci di cambiare davvero il presente e il futuro nostro e di molte persone. Ci sono momenti, relazioni che nascono e cambiano in modo irreversibile le prospettive e le motivazioni, come pure il senso di urgenza e di emergenza. L’emergenza diventa il presente e il momento per agire è adesso. Due incontri in particolare hanno portato l’Unione Buddhista Italiana al fianco di chi lavora, ogni giorno, per restituire umanità a immigrati, rifugiati e profughi: la nostra scelta, sempre più convinta, è stata quella di sostenere l’azione di Medici Senza Frontiere (MSF) nell’Isola di Lesbo (in Grecia) e il progetto dei Corridoi Umanitari.

Il sostegno a MSF

Abbiamo, prima di tutto, destinato 200.000 euro a Medici Senza Frontiere come aiuto per la clinica pediatrica fuori da Moria, per quella di salute mentale per adulti a Mitilene e per gli interventi volti a migliorare le condizioni igienico-sanitarie nel campo che ospita i migranti. Sarà un supporto per il lavoro degli operatori nel campo di Moria pensato per accogliere non più di 3.000 persone, dove, invece, ne vivono oltre 20.000.  Abbiamo scelto, senza esitazione, di intervenire perché le condizioni di vita delle persone, soprattutto dei bambini, nel campo di Lesbo non sono umanamente accettabili. A Lesbo medici e psicologi di MSF curano bambini affetti da gastroenteriti, malattie cutanee, problemi respiratori fino a trattare pazienti con condizioni mediche complesse o croniche, inclusi gravi problemi di cuore, diabete o epilessia, e perfino ferite di guerra. All’interno della clinica c’è un’équipe di salute mentale pediatrica che si occupa di bambini e minori che iniziano a isolarsi dalla vita, hanno avuto episodi di autolesionismo o hanno addirittura tentato di togliersi la vita.

La situazione greca

In totale sono attualmente più di 33.000 gli uomini, le donne e i bambini in cerca di protezione in Europa ad essere intrappolati sulle isole greche in condizioni terribili, deliberatamente trascurati dalle autorità elleniche ed europee. Oltre al sovraffollamento, queste persone sono costrette a vivere in ripari di fortuna allestiti in un ambiente caratterizzato da scarse condizioni igieniche. I bambini, oltre il 40% della popolazione, fuggiti da paesi in guerra come l’Afghanistan, la Siria e l’Iraq, vivono nella paura e senza la possibilità di andare a scuola invece di ricevere cure e protezione.

Partecipiamo ai Corridoi Umanitari

Mercoledì 27 novembre scorso sono giunti a Roma 113 profughi siriani dal Libano, grazie ai corridoi umanitari promossi da Comunità di Sant’ Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese e Unione Buddhista Italiana in accordo con i ministeri dell’Interno e degli Esteri. Con loro oggi sono oltre 1.800 le persone accolte in Italia da questo specifico progetto della società civile totalmente autofinanziato (dalla raccolta fondi di Sant’Egidio e dall’8 per mille delle chiese valdese e metodiste). Dal febbraio 2016, compresi i corridoi umanitari dall’Etiopia in Italia e quelli giunti in Francia, Belgio e Andorra dal Libano e da altri Paesi, sono ormai oltre 3.000 i profughi arrivati in Europa con i corridoi umanitari.

Il modello dei Corridoi

Tre anni e mezzo di impegno della società civile dimostrano che è possibile non solo salvare chi rischia di cadere nelle mani dei trafficanti di uomini, ma anche avviare percorsi di integrazione. In un tempo in cui riaffiorano preoccupanti manifestazioni di razzismo e intolleranza, il modello dei Corridoi ha riscosso il consenso di tanti e si è alimentato grazie alla generosità di molti italiani – alcuni dei quali hanno anche offerto le loro case per l’ospitalità – che si sono attivati in modo volontario e gratuito. I nuovi arrivi saranno gestiti da associazioni, parrocchie, comunità, diaconia valdese e famiglie in diverse regioni italiane. Insieme all’accoglienza verrà subito proposto l’apprendimento della lingua italiana per gli adulti, la scuola per i minori e l’inserimento lavorativo, una volta ottenuto lo status di rifugiato.

 

STORIE MEDICI SENZA FRONTIERE

“Non posso fare nulla per aiutarlo, mi limito a piangere”

La testimonianza di Gul*, madre di Mohamed*, 3 anni, con una disfunzione cerebrale

“Mio figlio, Mohammed, ha quasi 3 anni e soffre di una disfunzione cerebrale. Ha un mal di testa costante e non parla molto. Noi proviamo a farlo parlare, ma ogni volta che ci prova borbotta. Al momento viviamo in una tenda, senza elettricità né riscaldamento, piantata nel campo di ulivi limitrofo a Moria. I bagni e le docce sono lontani e non abbastanza caldi per lavare Mohammed, così lo lavo solo una volta ogni due settimane. Il medico ci ha suggerito di mantenere un’igiene buona, ma per noi è impossibile. Cerchiamo di mantenere la nostra tenda pulita, ma quando piove c’è fango ovunque. Come madre, non mi importa di me stessa, mi interessa solo dei miei figli. Quando Mohammed si lamenta per il mal di testa provocato dalla malattia, so che non posso fare nulla per aiutarlo. Mi limito a piangere. Siamo qui da tre mesi e mezzo e tutti i medici che hanno visitato Mohammed hanno detto che avrebbe davvero bisogno di essere trasferito sulla terraferma per ricevere le cure necessarie, ma noi siamo ancora qui a Moria”.

Gul, afgana, madre di due figli.

 

“Vorrei solo un buon dottore per mia figlia”

La storia della famiglia di Zahra*, 6 anni, autistica

“Mia figlia di 6 anni, Zahra, soffre di autismo e viviamo in uno spazio minuscolo, praticamente senza elettricità. Spesso nel cuore della notte ha convulsioni e non c’è nessuno che ci aiuti. Voglio vivere in un luogo in cui mia figlia può giocare come gli altri bambini ed essere curata da un buon dottore” dice Shamseyeh, proveniente dall’Afghanistan, uno degli oltre 19.000 abitanti del campo di Moria, attrezzato per ospitare non più di 3.000 persone.

 

“Sono una madre sola, bloccata a Lesbo, e non posso nemmeno curare mio figlio”

La testimonianza di Raido*, madre di Abdul*, paralizzato

“L’ospedale locale mi ha detto che non ci sono cure specialistiche per mio figlio, Abdul, e che ci saremmo dovuti trasferire in una struttura più grande. Io ho un bambino malato, totalmente paralizzato, epilettico, e che non riesce più nemmeno a dormire. Finora nessuno è stato in grado di aiutarmi qui. Sono una madre sola, con altri tre bambini. Siamo tutti bloccati a Lesbo”.

Raido, 27 anni proveniente dalla Somalia, è madre di quattro bambini ed è sola. Ha vissuto quasi 4 mesi nel campo di Moria, mentre da 3 mesi vive in un appartamento vicino al campo. Suo marito è morto prima che lei prendesse la decisione di venire in Grecia. Non riceve alcun aiuto per il figlio, che è paralizzato, e nell’isola di Lesbo non ci sono medici specializzati che possano aiutarlo.

 

* I nomi sono stati cambiati